lunedì 24 maggio 2010

Il Principe e l'Imperatore

Da sabato sera, finalmente, Massimo Moratti non è più soltanto il figlio del pluridecorato Angelo ma, bontà sua, il condottiero primo di un’Inter formato leggenda. 15 anni per raggiungere un sogno, 15 anni in cui è passato da vittima sacrificale sull’altare del potere della Cupola al ruolo di Imperatore del calcio italiano, dominatore in ogni campo ed in ogni competizione, eccezion fatta per quella Coppa Intercontinentale che sarà il prossimo scintillante oggetto del desiderio del patron nerazzurro.

Certo, i suoi detrattori avranno di che obiettare sui tanti “petrol Euro” investiti e sul fatto che siano servite le picconate all’apparenza unilaterali di Guido Rossi (presente in tribuna vip sabato scorso) a dar coscienza alla squadra della propria forza, riducendo l’impatto agonistico del campionato italiano e dandogli così la possibilità di programmare con più serenità l’avventura europea. Per dovere di cronaca, dovremo infinitamente ringraziare chi ha cercato di ripulire l’Italia pallonara da griglie precostituite e schede telefoniche, anche se un dubbio continua a scavare la roccia come una stilla d’acqua: perché investire con tanto ardore in un calcio che si sapeva malato e corrotto ? Al di là di dubbi che solo il proseguio della triste vicenda di Calciopoli 2 potrà fugare, l’Inter sale meritatamente sul trono d’Europa perché ha saputo sconfiggere tutte le più accreditate rivali, non ultimo quel Bayern infinitamente teutonico nella perseveranza e nella mestizia tecnica, fatta eccezione per un Robben stranamente scaricato in Baviera dal calcio che conta. E se l’italico ranocchio si è improvvisamente trasformato in principe azzurro, questo lo si deve a due assoluti protagonisti della cavalcata nerazzurra: un principe, appunto, di nome Milito ed un imperatore, odioso e odiato come tutti i despoti, di nome Mourinho. Dell’argentino si fatica a comprendere come sia assurto ai grandi palcoscenici in così tarda età: classe cristallina, senso del sacrificio e devozione al tatticismo, ne fanno un campione indiscusso del calcio nostrano (su tutte le finta che ha mandato in tribuna mezza difesa del Bayern sul secondo goal) e un protagonista, Maradona permettendo, della prossima kermesse mondiale. Il portoghese, invece, rappresenta l’allenatore ideale e vincente che tutte le squadre vorrebbero avere: duro, ostinato, capace di creare gruppo estirpando i rami che potrebbero infettare l’albero maestro (Ibrahimovic) e di gestire quella che è sempre apparsa come un’armata Branca…leone brava a dilapidare un capitale tecnico di indubbio valore. La leggenda, senza dubbio, l’ha scritta lui: in portoghese e forse in spagnolo, vista la predominanza brasiliano-argentina della corazzata nerazzurra, ma non certo in italiano, lingua che ha deciso di abbandonare richiamato dalle sirene madri liste. E di italico, purtroppo, l’Inter l’altra sera aveva ben poco: solo un piccolo minuto per Materazzi, il tempo necessario per dare alla bandiera la giusta gioia e alla bandiera di esibire la solita immancabile T-shirt di un’esilarante quanto deprecabile collezione: ma di Marco sappiamo tutto, anche il fatto che la sua testa sia più nota per l’involucro che per il contenuto.

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