venerdì 29 giugno 2012

Ma Quale Impresa...


Ma quale impresa, ma quale miracolo all’italiana; la vera impresa l’avrebbero compiuta loro se fossero riusciti, per la prima volta nella storia del calcio, a superarci in una partita valevole per le fasi finali di una competizione, sia esso il campionato Europeo o quello Mondiale.
La Germania (Ovest, Est e pure unita) mai nella sua storia è riuscita a batterci, anche quando periodi tristi e bui attraversavano il nostro calcio; ma da quel 31 maggio del 1962 in terra cilena all’ennesima magica notte consumata a Varsavia, abbiamo sempre saputo trasformare l’invincibile Panzer Division in una più mite combriccola di Sturmtruppen tutta crauti e lacrime amare.
Quattro vittorie (Messico 70, Spagna 82, Germania 2006, Polonia 2012) e quattro pareggi (Cile 62, Argentina 78, Germania 88 e Inghilterra 96 con rigore sbagliato da Zola) la dicono lunga sulla nostra indiscussa superiorità calcistica nei confronti di chi, da sempre, si vanta di essere la nazione trainante nell’europa pallonara (e non solo pallonara) ma che, all’apparire di quelle azzurre maglie, si scioglie come neve al sole.
Certo, un piccolo miracolo forse c’è stato: l’unione ritrovata dell’italico popolo nelle invettive contro il simbolo della presupponenza, della superiorità, di quel senso di onnipotenza di cui si è volontariamente investita Frau Angela, travolta di conseguenza da un treno in corsa ricco di apostrofi poco rosa e sublimata sulle, a dire il vero, poco eleganti pagine de Il Giornale in aggettivo di berluscioniana memoria, che per un istante ha cancellato le tristi divisioni ed i facili insulti a cui il mondo politico ci ha definitivamente abituato.
L’Italia ce l’ha fatta, dunque, ed è in finale: hanno vinto i muscoli esposti al pubblico di Supermario, l’infaticabile grinta e determinazione dei tanti gregari, la genialità di Pirlo e Cassano: doti che servirebbero anche altrove, ad altri Mario, ad altri gregari, ad altre Else la cui genialità, se mai sia esistita, si trova sepolta sotto un mare di dannose scempiaggini.
Ancora una volta la Germania è sotto, sconfitta, umiliata sul piano del gioco, ridimensionata a ruolo di comprimaria che solo un discutibile e generoso rigore ha per un attimo cercato di cancellare regalandoci però nel contempo maggior godimento al fischio finale.
E non è un caso che l’uomo simbolo di questa vittoria sia stato il tanto vituperato Balotelli, uno che gioca solo le partite che gli piacciono ma che quando spiattella tutta la sua classe e la sua forza fisica diventa inarrestabile. Balotelli e Drogba, un filo conduttore nelle lacrime di una città prima e di un popolo ora la cui vendetta (sportiva s’intende) viene per l’ennesima volta respinta nell’attesa della prossima manifestazione, della prossima Italia – Germania, della prossima tappa di un'infinita disfida  che mai riusciremo a perdere.

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