lunedì 19 aprile 2010

Il lavoro che uccide

M. F. aveva 44 anni. Si è impiccato, con la corda da gioco di una delle sue piccole figlie, dopo un anno di Cassa Integrazione saltuariamente interrotta con comparsate sui palchetti periferici di alcuni locali che non gli hanno però ridato quello che lui, presumibilmente, cercava.


M.F. come F.N., forse, meno di tre anni fa. Una cassa integrazione caduta sulle sue spalle senza comprenderne mai il perchè, una dignità ferita e un senso di inutilità e di tradimento da parte di quel mondo del lavoro a cui aveva dato tanto, per il quale aveva sacrificato una parte importante dei suoi anni e della sua gioventù. M.F. e F.N. uccisi da un lavoro che non c’è, almeno per alcuni, non per tutti; da una crisi sulla quale si gioca con le parole, che va e viene come la nube del vulcano islandese, che lascia ferite indelebili nell’anima e nella dignità delle persone nell’attesa di un domani migliore. Ma per M.F. e F.N. quel domani non ci sarà, cancellato dai padroni del nostro tempo, umiliato dalla freddezza e superficialità con cui si liquidano i fratelli più deboli e che, senza forse, hanno più bisogno di noi di certezze e speranze. M.F. e F.N.: due destini incrociati che l’egoismo del mondo trasformerà in men che non si dica in due “meno 1″ sui libri paga di un qualche Capo del Personale e che cercheremo di rimuovere in fretta per non sentirci troppo complici, con la nostra indifferenza, del loro estremo e irreversibile gesto.

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