lunedì 7 giugno 2010

I miracoli di Francesca

Verrebbe facile dire che la straordinaria vittoria di Francesca Schiavone a Parigi ha un che di miracoloso, e forse qualcosa di divino e soprannaturale è accaduto sabato, quando sul Philippe Chatrier la tennista milanese ha ascritto, per la prima volta nella sua pluricentenaria storia, un nome italiano nell’albo d’oro del prestigioso torneo.

Francesca è stata fantastica in queste due settimane raggiungendo un risultato frutto del lavoro, della serietà, del sacrificio che solo chi ha un sogno può portare avanti con tenacia. I più disattenti si saranno stupiti di scoprire che esiste un tennis al femminile che non vive solo della grazia della Divina Gabriela o sui giornali di gossip e moda dove tante presunte campionesse soffocano il loro naturale talento (Kournikova, Sharapova e Ivanovic), ma che ha nella tenacia e nella bravura di Francesca e di tante altre (Jankovic, la stessa Stosur e perché no, Flavia Pennetta) una credibilità e dignità paritetica a quella dei maschietti. La Schiavone non ha solo vinto, come tanti detrattori dell’ultima ora vorrebbero farci credere, perché il lato femminile del tennis è leggermente in declino: ha vinto perché la scuola italiana è cresciuta, perché le Federation Cup vinte non sono una Coppa Davis in tono minore ma l’esaltazione del team in uno sport individualistico che vede l’Italia, ormai da troppo tempo, ai margini del gioco. Francesca ci ha ridato il sapore di sostenere una rappresentante della nostra terra nell’epilogo di uno dei quattro più grandi tornei del mondo, sapore antico legato a infantili ricordi (Panatta, 1976) o addirittura persi nella notte dei tempi (Pietrangeli), quando le racchette erano di legno e la poesia di una voleè ben più aulica di infiniti palleggi da fondo campo. Abbiamo passato anni in cui ci siamo aggrappati ai campioni stranieri (Mc Enroe, Agassi, Edberg, Federer) perché i nostri non superavano la prima settimana (spesso nemmeno il primo turno), mentre qualsiasi nazione mondiale era in grado di proporre almeno un giocatore di vertice (persino l’Austria e il Brasile). Ora che Francesca ha compiuto il miracolo, giocando un tennis di rara intensità e bellezza, si sfrutti l’onda di questa ritrovata fama e si costruiscano giocatori in grado di riportare appassionati veri ad uno sport che pareva essere finito nel buio più profondo, abbandonato persino da quella televisione di Stato che se non può celebrare le gesta di un azzurro preferisce declinare verso insulse amichevoli estive prive di qualsiasi significato. Grazie Francesca, e non solo per le emozioni che hai saputo regalarci in una terra che avrà certamente mal digerito l’amaro boccone di un’italiana con il trofeo levato al cielo; ma soprattutto per aver riportato agli onori che merita uno dei più affascinanti sport che l’uomo abbia mai inventato.

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