venerdì 11 giugno 2010

Lo Zio di Bianchi

Ormai leggere il labiale è diventato uno degli sport più amati dagli italiani, dopo la Cuccarini e le sue cucine. Se prima la tempesta si è abbattuta sul Marchisio “leghista” e sulla sua presunta “Roma Ladrona”, ora tocca al simbolo dell’altra sponda torinese, quel Rolando Bianchi che a suon di goal ha trascinato la compagine di Cairo sino alle soglie della serie A.

Per toglierlo di mezzo qualcuno (Corioni e Maifredi) ha voluto vedere una strana commistione tra divinità e parentele di primo grado (o viceversa), e così il bomber bergamasco (forse per questo l’insulto allo zio non è stato gradito dai cugini) è stato escluso dall’epilogo finale, quella trasferta in terra bresciana che sancirà il confine tra la gloria ed il fallimento di Urbano Cairo. Strano che, con quattro giudici in campo (e Morganti, quarto uomo, diretto protagonista della probabile bestemmia) sia stata la macchina televisiva a scoprire il reato, come a dire che ormai potremmo far arbitrare le partite direttamente a Caressa o Varriale piuttosto che ai rappresentanti di una categoria sempre sotto l’occhio del ciclone. Il Torino dunque si troverà privo del re dei bomber in una partita in cui sarà costretto a vincere; una partita non facile, certo, ma che diventa ancora più in salita con la sua assenza. Giusto punire chi bestemmia, ci mancherebbe altro, ma giusto sarebbe altresì impedire quella caccia alle caviglie inscenata dai leoni lombardi all’Olimpico mercoledì scorso; di questo però Gigione Maifredi non parla, lui epico inventore del calcio champagne che di bestemmie, da parte juventina, ne ha raccolte tante e che ora è riuscito nello straordinario miracolo di unire nell’odio comune contro di lui due tifoserie che mai potranno amarsi. Sarebbe bello che il Torino potesse giocarsi le sue carte nelle migliori condizioni possibili, anche per riscattare una storia fatta di strani ostracismi, strane retrocessioni che lasciano nello spettatore super partes uno spiacevole sapore di congiura. Il Toro, in fondo, non ha mai telefonato a designatori o arbitri, ha subito una retrocessione (e un fallimento) quando altre società addomesticavano risultati e si trovavano debiti spianati fuori da ogni regola: questo di per se dovrebbe essere sufficiente non a salvaguardare la squadra granata, ma a darle il diritto di giocarsi sul campo le proprie possibilità. Però così non è, se vi pare: in un calcio dove a farla da padrone sono le fette della torta dei diritti televisivi (il Toro, pare, costerebbe più del Brescia riducendo l’ampiezza delle altre fette), il rigore e l’integrità sono chimere sbandierate al vento per gettare fumo negli occhi dei tifosi; a meno che tu non sia il goleador principe e il più serio pericolo degli avversari, non giochi nel Torino e non abbia uno zio un po’ porcellino.

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