mercoledì 11 luglio 2012

Quell'11 Luglio...

Quell’11 luglio è il ricordo indelebile ed inconfondibile della grande vittoria al mondiale spagnolo, ma forse non solo quello. Nella memoria di un quasi cinquantenne è soprattutto l’immagine di un’epoca spensierata e serena dove la vita era ciò che avevi in quel momento fra le mani perchè a diciott’anni tutto ti è concesso ed il mondo, che tu lo voglia o no, è genuflesso ai tuoi piedi. Era l’epoca dorata del Covo, dei tagli da scuola alla ricerca di una libertà che in quelle patrie galere chiamate Liceo non riuscivi a respirare, dei week end a Chianale in tenda dove tutti i propositi annegavano in una bottiglia di Pastis o bruciavano lente nel fumo dell’ultima sigaretta che non era mai tale.


Gli Ameni Inganni li avrebbe chiamati il Sommo Poeta, quegli inganni che presto sarebbero caduti sbattendoti in facia realtà ben più amare ma sempre vissute col sorriso sulle labbra, con la genuinità e spontaneità di quel Peter Pan che non voleva e non vuole tutt'ora saperne di morire.

E c’era quel Mondiale, le parole consumate in una tenda a convincerci che noi eravamo più forti del Brasile; e se fuori, in quell’angolo di mondo dove solo lo scrosciare di una cascata rompeva il silenzio, si fosse materializzata la paradisiaca ninfa cinematografica di quei tempi (Phoebe Cates, protagonista di Paradise n.d.r.) certamente le avrei sussurrato: “Aspettami se vuoi; io ho una finale con la Germania”.

Era sopra tutto quella finale, a qualsiasi pensiero, a qualsiasi certezza, a qualsiasi straordinaria avventura. Era il piatto prelibato da gustare nel posto giusto al momento giusto, una combinazione che nella vita non si sarebbe più potuta ripetere, con i tuoi miti che si trasformano in eroi e con quella vittoria che nessuno può rubarti perchè sembra essere solo, esclusivamente tua.

La sintesi è nel minuto 24 di quel secondo tempo, quando l’idolo di sempre traccia un fendente che trafigge la teutonica difesa suggellando il trionfo e condensando quell’attimo fuggente in una corsa sfrenata, in un urlo sovrumano,superiore fors’anche alla mia esplosione in terrazza, tra gli occhi lucidi di due genitori che non smetterò mai d’amare e la telefonata di uno zio che da lì a poco se ne sarebbe andato lasciando dentro di me un vuoto enorme.

E poi la festa, e le immagini nella memoria che si susseguono senza un ordine preciso andando dal bagno nella fontana al tamagnone di Romualdo, simbolico carro su cui tutti salimmo perchè tutti, senza distinzione di bandiere e fede, eravamo vincitori.

Campioni del Mondo, signori miei, e a diciott’anni se ami visceralmente il calcio, è una vittoria che assume un sapore del tutto particolare, tanto che potresti morire anche l’istante dopo perchè in quell’attimo si suggella il significato di una vita.

E se per certi versi può essere stata la fine della mia giovinezza, per altri potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova avventura: trent’anni dopo, come allora, l’urlo di Marco è una bandiera d’amore che sventola nel cielo azzurro della mia vita.



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