mercoledì 23 gennaio 2013

Spopulation...


“Ciau Saluse, mi vadu via…”. Costretto ad emigrare ora che il treno non scivola più fiero sulle arrugginite rotaie che pure, per simbolica protesta, hanno accolto le dorate terga dei nostri primi cittadini i quali nulla  hanno potuto contro la scure leghista responsabile unica di quello spopolamento ormai in atto nelle campagne del cuneese.
Accolgo addolorato l’appello su Saluzzo Oggi e rifletto sull’assurda situazione che, nell'era di internet e skype, allontana da quella che fu la fiera capitale del Marchesato orde di gente costrette raminghe per straniere strade.
Poi, all’improvviso, un autobus e trenta persone che acquistano il biglietto: ma allora a Saluzzo qualcuno arriva ancora ? Allora, forse, quell’isolamento è solo di facciata ? O esistono altre ragioni sulle quali è meglio tacere o nasconderle dietro al comodo “alibi” del treno soppresso ?
A Saluzzo signori, ogni giorno, ci si arriva in pullman. Ce n’è uno ad ogni ora, esclusi i festivi durante i quali raggiungerla è impresa degna di Messner; ma nulla cambia rispetto all’epopea di Trenitalia perché da almeno vent’anni il buffo “ciuff ciuff” tanto amato dai bambini non squarcia il silenzio delle domeniche di Madama la Marchesa e da altrettanto tempo, alle venti di ogni sera, l’ultima corsa spesso sballata per coincidenze rischia di lasciarti come un pirla in Piazza Sperino.
Quindi dove sta l’isolamento ? E’ solo tutta causa di un treno che non corre oppure della mentalità di una città, adorabile e da me amata, che da sempre ha scelto di celare i propri segreti dentro una campana di vetro pronta a respingere, per difendere la sua borghesia, gli strali di una società industriale che avrebbe forse offuscato quell’alone di sprezzante nobiltà ?
Saluzzo ha voluto nel tempo crearsi una propria immagine, un piccolo paradiso dove i sollazzi e le festose voci non si mescolano alle grida di protesta o a quelle strazianti di una società in declino. Saluzzo ha i bar, ha i negozi, ha i suoi ristoranti addirittura dentro i chioschi di storiche chiese, ha le sue librerie chiuse, ha quella movida prima libera e festante ora problematica e da gestire, come se si volesse arginare il mare con un banale e solingo scoglio.
Saluzzo è una splendida contraddizione, un parcheggio libero nei festivi ma a pagamento nel periodo natalizio, una jenseria aperta venticinque ore su ventiquattro, un fascino indiscreto di cui devono bearsi solo i suoi fortunati residenti mentre il resto della marmaglia è meglio che rimanga ai margini, magari nella sonnecchiante e più lugubre Savigliano, magari nella violentata Carmagnola, addirittura spesso nella caotica e infernale Torino.
Il lavoro esiste, ma da libero professionista, da esercente o, come il compagno di scuola di Venditti, “entrato in banca" pure lui, con (quasi mai senza) l’aiutino di televisiva memoria; quello più umile degli operai della catena di montaggio, invece, non ha mai varcato il confine per una precisa scelta strategica.
Eppure malgrado tutto questo, non riesco ad odiarti e proprio quel silenzio, quelle tue enormi braccia consolatorie mi mancano in questo mio esilio; un amore che diventa rabbia quando ti prendono in giro, quando i tuoi stessi figli ti sfruttano per i loro beceri interessi, quando non vogliono capire quale meraviglioso gioiello scintilli tra le loro mani.
L’isolamento ? No, Saluzzo, non è in te e nei tuoi treni, ma nella mente di chi dovrebbe imparare a gestirti con il solo scopo di amarti e rispettarti.

Nessun commento:

Posta un commento