martedì 7 maggio 2013

Addio al Re


Amato e odiato, ossequiato e vilipeso, difeso strenuamente ed attaccato con altrettanto vigore. Fine politico o mafioso della peggior specie, grande statista o peggior affarista: ogni aggettivo, ogni parola attribuita a Giulio Andreotti assume l’accezione più estrema perché in lui tutto era estremo, seppur mitigato da quel suo fare istrionico e da quell’ironia che lo faceva ergere sul resto della classe politica portandolo a diventare il vero simbolo della storia repubblicana dell’Italia.
Personaggio controverso, troppe volte il suo nome è stato accostato non solo ai più loschi personaggi della mafia ma soprattutto alle pagine più oscure di cinquant’anni di storia della democrazia italiana, ben rappresentate da quello sguardo all’apparenza spento ma che lasciava trapelare ciò che era veramente la politica, tra malaffari e gentili concessioni, tra verità nascoste e falsità vendute al popolino di chi il potere lo detiene e lo utilizza soggiogando gli altri.
Lui era il potere, lui era la Democrazia Cristiana, lui era lo Stato: che agisse di nascosto o alla luce del sole attraverso cariche di assoluto rilievo, riusciva con abilità a gestire i tasselli di un mosaico sempre ricomposto in modo tale che il suo disegno quadrasse alla perfezione, che le cose proseguissero per la strada tracciata, una strada troppo spesso lastricata di dolore e morte.
Le 7 presidenze del Consiglio, le innumerevoli poltrone di rilievo occupate non cancellano però la macchia, l’onta più grande, un’ombra che spinge l’intera politica italiana nel baratro oscuro di connivenze con la malavita: la prescrizione per il reato di “concreta collaborazione” con Cosa Nostra, prescritto perché antecedente al 1980.
Non vi tedierò con tutta la ricostruzione dei fatti perfettamente narrata dalla penna di Travaglio sul Fatto Quotidiano di oggi, ma l’assioma che si compone è di assoluta drammaticità, perché se lui era la politica e vi era una concreta collaborazione con la malavita, è impossibile scindere lo Stato dalla Mafia (e dalla Chiesa), unite in un solo afflato nella sua più elevata rappresentazione.
Ora, purtroppo, tutte le verità saranno tumulate nel feretro e riscrivere la storia sarà ardua impresa senza una voce narrante di primaria importanza e senza rischiare di cadere nell’interpretazione e non nella descrizione dei fatti: ma siamo certi che lui mai avrebbe ammesso siffatti crimini, anche ormai prossimo all’estrema chiamata.
Ci sarà certo per Giulio il tribunale ultimo di quel Dio che ogni giorno onorava nella chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini, e forse solo a Lui sarà concesso di conoscere le verità; ma noi, da miseri e comuni mortali, tanto avremmo preferito che tutto questo fosse stato raccontato ai Giudici se non altro per rispetto delle tante, troppe vittime con cui la sua democrazia ha lastricato la strada di questo cinquantennio.

Addio Giulio, con sommo rispetto non sarò tra quelli che ti rimpiangeranno.

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