mercoledì 15 maggio 2013

L'Indifferenza


Tornare per un volta ancora a rivivere vecchie emozioni sopite e scoprire, con malcelata soddisfazione, che il tempo sembra essersi fermato.
Ritrovare quell’inebriante profumo di umanità e la fatiscenza di una seggiola consunta dal tempo mentre provi, come sempre inutilmente, a far viaggiare la tua fantasia al di là di un vetro imbrattato da rudimentali scritte e secolare unto.
Emozioni da rivivere, emozioni che toccano il cuore grazie alla capacità conservativa della nostra grande ed insostituibile compagna di viaggio: la carrozza passeggeri di Trenitalia.
Più di vent’anni su e giù, da mane a sera, cercando di togliersi dalle narici quell’olezzo che spesso si confondeva con l’ammina delle anime o di quella fabbrichetta che, ancora oggi, non sono ben riuscito a capire cosa diavolo producesse: un’odissea come lo fu, nel lontano 2003, quel viaggio da Milazzo a Torino del 31 agosto, senza aria condizionata, con i finestrini sigillati per non disperdere i vantaggi dell’aria condizionata (?) e con un piccolo infante (non mio ovviamente) stancamente sopito tra le mie braccia per penuria di posti ed eccesso (come sempre) di biglietti venduti.
E’ una fantastica avventura prendere il treno in Italia,che tu faccia 5, 100 o 1000 kilometri, che rimanga immobile sul ciglio del binario per l’improvviso sciopero che si protrae ben oltre l’orario previsto o schiacciato tra uno scomparto e l’altro come nel più comune dei carri bestiame, cioè quello in cui quotidianamente si trasformano molti dei mezzi definiti “per pendolari”.
E di avventura debbo parlare per l’ultimo tratto percorso, chiuso in una carrozza con una signora di mezza età, un ragazzo fintamente immerso nella lettura di una consunta Gazzetta e cinque energumeni urlanti, che passano il loro tempo a sputare, irrorarsi di birra (o simil bevanda) e sollazzarsi le piante dei piedi sui pochi sedili rimasti liberi dalla loro maleducazione.
Per spirito di sopravvivenza verrebbe da alzarsi, aiutare la signora nel trasbordo della valigia verso lidi più consoni e lasciarli regnare nella loro immondizia, ma spinto da insolito coraggio li invito a più consono contegno ricevendo in cambio indifferenza e una vagonata di “cazzi miei”.
Decido così di dare aiuto alla sventurata viandante, scrutato con freddezza dal noncurante avventizio attento a studiare la formazione del Milan, accompagnandola alla ricerca di un luogo più sicuro (semmai quella sera ne fosse esistito uno) e prima di lasciare per termine corsa mi reco da un seccato capotreno (profondamente affondato in una Settimana Enigmistica) segnalandogli il problema ed il solito fatto che, quando il treno viene popolato da troppi energumeni, nessuno passi a controllare i biglietti come sempre invece capita in più “salutari” situazioni.
Anche in quel caso (non col verbo ma di certo col pensiero) ricevo la mia dose di sacramenti (oltre al controllo del biglietto) e atterro in una triste stazione sempre più convinto che, se non per puro sbaglio, nessuno passerà o si fermerà in quel vagone; resto però felice di aver alleviato, uscendo dall’indifferenza, un tratto di viaggio a quella signora anziana improvvisamente sprofondata nell’inferno di cinque personaggi non condannabili per pelle, religione, lingua o etnia ma semplicemente perché ormai oltre il confine che separa l’essere umano dal più bieco animale e dell’indifferenza del giovine virgulto che ora saprà a memoria l'intero scibile sportivo.
Finisce così l’ultima odissea con Trenitalia: un mezzo fatiscente che si perde nelle tenebre così come la solidarietà nell’indifferenza del nostro egoismo.
  

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