Ma quale impresa, ma quale
miracolo all’italiana; la vera impresa l’avrebbero compiuta loro se fossero
riusciti, per la prima volta nella storia del calcio, a superarci in una partita
valevole per le fasi finali di una competizione, sia esso il campionato Europeo
o quello Mondiale.
La Germania (Ovest, Est e pure
unita) mai nella sua storia è riuscita a batterci, anche quando periodi tristi
e bui attraversavano il nostro calcio; ma da quel 31 maggio del 1962 in terra
cilena all’ennesima magica notte consumata a Varsavia, abbiamo sempre saputo
trasformare l’invincibile Panzer Division in una più mite combriccola di
Sturmtruppen tutta crauti e lacrime amare.
Quattro vittorie (Messico 70, Spagna
82, Germania 2006, Polonia 2012) e quattro pareggi (Cile 62, Argentina 78, Germania
88 e Inghilterra 96 con rigore sbagliato da Zola) la dicono lunga sulla nostra
indiscussa superiorità calcistica nei confronti di chi, da sempre, si vanta di
essere la nazione trainante nell’europa pallonara (e non solo pallonara) ma
che, all’apparire di quelle azzurre maglie, si scioglie come neve al sole.
Certo, un piccolo miracolo forse
c’è stato: l’unione ritrovata dell’italico popolo nelle invettive contro il
simbolo della presupponenza, della superiorità, di quel senso di onnipotenza di
cui si è volontariamente investita Frau Angela, travolta di conseguenza da un
treno in corsa ricco di apostrofi poco rosa e sublimata sulle, a dire il vero, poco eleganti
pagine de Il Giornale in aggettivo di berluscioniana memoria, che per un
istante ha cancellato le tristi divisioni ed i facili insulti a cui il mondo
politico ci ha definitivamente abituato.
L’Italia ce l’ha fatta, dunque,
ed è in finale: hanno vinto i muscoli esposti al pubblico di Supermario, l’infaticabile
grinta e determinazione dei tanti gregari, la genialità di Pirlo e Cassano:
doti che servirebbero anche altrove, ad altri Mario, ad altri gregari, ad altre
Else la cui genialità, se mai sia esistita, si trova sepolta sotto un mare di dannose scempiaggini.
Ancora una volta la Germania è
sotto, sconfitta, umiliata sul piano del gioco, ridimensionata a ruolo di
comprimaria che solo un discutibile e generoso rigore ha per un attimo cercato
di cancellare regalandoci però nel contempo maggior godimento al fischio
finale.
E non è un caso che l’uomo
simbolo di questa vittoria sia stato il tanto vituperato Balotelli, uno che
gioca solo le partite che gli piacciono ma che quando spiattella tutta la sua
classe e la sua forza fisica diventa inarrestabile. Balotelli e Drogba, un filo
conduttore nelle lacrime di una città prima e di un popolo ora la cui vendetta
(sportiva s’intende) viene per l’ennesima volta respinta nell’attesa della
prossima manifestazione, della prossima Italia – Germania, della prossima tappa di un'infinita disfida che mai riusciremo a perdere.
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