Quando gli allenatori decidono di assurgere a protagonisti rubando la scena ai giocatori, state certi che lo spettacolo inevitabilmente muore. Quando un match dalle grandi attese quale
Real Madrid Barcellona diventa teatro di scontri verbali, di alchimie tattiche, di
paure, tutte le premesse della vigilia svaniscono e l'inerme spettatore rischia il crollo nella depressione più totale man mano che i minuti passano mentre il gioco latita, lo spettacolo langue, la
noia ti assale.
Succede così che Real Madrid Barcellona diventi un match di
fine stagione all’italiana, attanagliati dalla paura di perdere e di
trasformare il match di ritorno in una semplice passerella, un tappeto
rosso da stendere ai piedi dei futuri finalisti.
Anche il Pep si adegua alla manfrina, snaturando una squadra
abituata a fare gioco, a pressare l’avversario, ad irretirlo con mille passaggi
per liberare l’attaccante di fronte alla porta.
Una partita brutta, improponibile: così è stata e sarebbe rimasta se, ad un certo
punto, non si fosse ribellato a questa ragnatela Leo Messi, il funambolico
fuoriclasse argentino che, accesa la luce per pochi istanti, ha sconquassato
tutti i tatticismi e i logaritmi dei due maghi della panchina regalando con tutta probabilità un'altra finale alla compagine catalana.
Si dirà che l'espulsione di Pepe (giusta tra l'altro) abbia modificato gli equilibri tattici e distrutto il catenacciaro impianto di Mourinho, ma non lasciatevi convincere da questo assioma: la realtà è una soltanto ed è che quando hai grandi giocatori non puoi irretirli in schemi che ne deprimono le qualità.
Messi lo ha dimostrato, dall'alto di una classe indiscussa ed indiscutibile, sbugiardando coloro che, per una notte, avrebbero voluto incoronarsi re al posto di chi re, almeno nel mondo pallonaro, lo è veramente.
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