Si, lo ammetto, ho sofferto a non esserci. Avrei voluto lasciarmi trascinare da quella fiumana
di persone ed urlare a squarciagola quelle canzoni che sono state la
bandiera della mia generazione; ma non ho potuto farlo.
Non ho potuto perchè un
lavoro alienante mi blocca negli orari e nei guadagni, o forse
ancora di più perchè si è sciolta quella voglia di vivere, quell'ardore
che tu, a 65 anni, ancora sprigioni mentre io l'ho seppellito
definitivamente tra le pieghe di una vita sempre meno spericolata e
sempre più trascinata.
E non ti ho seguito
neanche in un cinema o nei brevi interspazi televisivi perchè o ci
sei, e sei protagonista di una favola da custodire gelosamente nel
profondo del tuo cuore, oppure meglio eclissarsi e sognare.
Si, sognare, sognare o
forse ricordare con mestizia quel ragazzino dal fegato spappolato che
voleva sentirsi libero, fuori dal gregge che all'unisono segue una
scia senza un sussulto, senza una fantasia, senza un'emozione.
L'emozione di una canzone
che racchiude uno specifico momento della tua vita, la rabbia di un
grido verso il cielo che oggi più che mai, quando ti ritrovi a fare
un consuntivo, senti viva dentro a te e ancora non sai trovare le
risposte; l'essere come un'isola in un oceano che sfiora i tuoi
litorali ma non può abbracciarti completamente, diversi come siamo
nelle esperienze, nei percorsi, nelle verità.
Vasco è soprattutto
questo: al di là delle melodie, dei virtuosismi della chitarra del
momento, di una voce non sempre limpida. Lui è l'unico,
indistruttibile erede della scuola cantautorale italiana, l'unico
vero rocker italiano, l'unico approdo sicuro contro i melensi rapper
o gli inutili prodotti di una scuola di talenti costruiti in
laboratorio che per ritagliarsi un “piccolo spazio pubblicità”
si rituffano nelle acque di un'isola o nelle giurie di qualche
inutile show che impedisca loro il giusto oblio.
Certo, non siamo a
Woodstock o a Mosca al Monster of Rock, icone indissolubili di
generazioni passate; ma se un'icona la mia generazione di perdenti
deve avere, credo che nessuno meglio di lui la possa incarnare.
Grazie Vasco, grazie per
questo lungo ed interminabile percorso e soprattutto per il messaggio
di speranza che ancora cerchi di lasciarci: che “quella voglia
quella voglia di vivere, quella voglia che c'era allora” non è mai
morta ma soltanto seppellita sotto le nostre paure, i nostri sogni
disattesi, la nostra rinuncia a “vivere una favola”....
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