Ora che tutto sembra essere
finito, rimangono nella notte milanese solo occhi puntati come stelle
abbaglianti su di lui. Ci sono quelli sognanti e pieni d’amore della rampolla
di famiglia che, solo potesse, lo divorerebbe come un piatto prelibato della
nouvelle cuisine (com’è lontana ormai Stephany dal cuore) e di migliaia di diavoli
in pectore che in lui vedono l’eroe di un sogno lungamente accarezzato.
Ci sono poi gli occhi furenti
dei tifosi nerazzurri che vedono in lui l'ennesima icona di una disfatta; e quelli
lacrimanti di colui che un tempo fu il suo padre spirituale, quel Leonardo
forse più ferito dal tradimento del diletto figlio che dai beceri ed assurdi
insulti che dalla curva un tempo amica piovono.
Quarantacinque secondi, il
tempo di accomodarsi sui sellini di San Siro, e subito l’equilibrio della
partita cambia: il ballo di Robinho e Pato nell’area nerazzurra incanalano il
match verso una direzione che nemmeno il più ottimista dei tifosi rossoneri
osava immaginare.
L’Inter cerca di
reagire, ma tra un Abbiati in forma strepitosa ed un Eto’o divoratore di
occasioni non sembra questo essere il cielo adatto per far brillare le stelle
d’Europa. Chivu con il suo casco sembra un pilota stordito dopo essere stato
abbattuto col suo caccia nel deserto; Snejider brancola nel buio di un
centrocampo ben presidiato da Gattuso & Co.; Pazzini solo una volta riesce
a rendersi pericoloso, ma è troppo poco per impensierire un Milan in stato di
grazia.
L’espulsione del rumeno, la
zuccata di Pato sulla ciabattata di Abate chiudono il conto, a cui poco
aggiunge il rigore trasformato dal solito Cassano, capace di passare in pochi
secondi dalle stelle del terzo goal alle stalle di una stupida ed evitabile
espulsione.
Il Milan vola, lascia l’Inter a
distanza di sicurezza e conta le partite che mancano per arrivare al trionfo
con il suo gongolante Presidente che trova il tempo anche di rimandare
Balotelli al mittente, non ritenendolo degno dello stile della sua società.
Certo, a vedere Gattuso inveire
contro Leonardo (ah triste decadenza dell'umana gente!) viene da chiedersi
quale sia questo stile per cui il Supermario nazionale non possa far parte
delle brigate del Diavolo, ma sono inezie in una serata che è il tripudio del
Milan senza Ibrahimovic (forse proprio non così determinante come lo si vuole
descrivere) e la disfatta di un Inter che ancora una volta mette in evidenza la
necessità di avere in panchina non solo un bravo tecnico, ma soprattutto un
generale che sappia bacchettare e stimolare nel modo giusto un gruppo di
campioni dal vago sapore individualistico.
Bravo Milan, ormai prossimo al
traguardo, che lascia alle dirette rivali le briciole di un secondo posto che
se per il Napoli rappresentano oro, per l’Inter hanno tanto il sapore della terribile
delusione.
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