“Ciau Saluse, mi vadu via…”. Costretto ad emigrare ora che
il treno non scivola più fiero sulle arrugginite rotaie che pure, per simbolica
protesta, hanno accolto le dorate terga dei nostri primi cittadini i quali
nulla hanno potuto contro la scure
leghista responsabile unica di quello spopolamento ormai in atto nelle campagne
del cuneese.
Accolgo addolorato l’appello su Saluzzo Oggi e rifletto sull’assurda
situazione che, nell'era di internet e skype, allontana da quella che fu la fiera
capitale del Marchesato orde di gente costrette raminghe per straniere strade.
Poi, all’improvviso, un autobus e trenta persone che
acquistano il biglietto: ma allora a Saluzzo qualcuno arriva ancora ? Allora,
forse, quell’isolamento è solo di facciata ? O esistono altre ragioni
sulle quali è meglio tacere o nasconderle dietro al comodo “alibi” del treno
soppresso ?
A Saluzzo signori, ogni giorno, ci si arriva in pullman. Ce
n’è uno ad ogni ora, esclusi i festivi durante i quali raggiungerla è impresa
degna di Messner; ma nulla cambia rispetto all’epopea di Trenitalia perché da
almeno vent’anni il buffo “ciuff ciuff” tanto amato dai bambini non squarcia il
silenzio delle domeniche di Madama la Marchesa e da altrettanto tempo, alle
venti di ogni sera, l’ultima corsa spesso sballata per coincidenze rischia di
lasciarti come un pirla in Piazza Sperino.
Quindi dove sta l’isolamento ? E’ solo tutta causa di un
treno che non corre oppure della mentalità di una città, adorabile e da me amata,
che da sempre ha scelto di celare i propri segreti dentro una campana di vetro
pronta a respingere, per difendere la sua borghesia, gli strali di una società
industriale che avrebbe forse offuscato quell’alone di sprezzante nobiltà ?
Saluzzo ha voluto nel tempo crearsi una propria immagine, un
piccolo paradiso dove i sollazzi e le festose voci non si mescolano alle grida
di protesta o a quelle strazianti di una società in declino. Saluzzo ha i bar,
ha i negozi, ha i suoi ristoranti addirittura dentro i chioschi di storiche
chiese, ha le sue librerie chiuse, ha quella movida prima libera e festante ora
problematica e da gestire, come se si volesse arginare il mare con un banale e
solingo scoglio.
Saluzzo è una splendida contraddizione, un parcheggio libero
nei festivi ma a pagamento nel periodo natalizio, una jenseria aperta venticinque ore su ventiquattro, un fascino indiscreto di cui
devono bearsi solo i suoi fortunati residenti mentre il resto della marmaglia è
meglio che rimanga ai margini, magari nella sonnecchiante e più lugubre
Savigliano, magari nella violentata Carmagnola, addirittura spesso nella
caotica e infernale Torino.
Il lavoro esiste, ma da libero professionista, da esercente
o, come il compagno di scuola di Venditti, “entrato in banca" pure lui, con (quasi mai senza) l’aiutino di televisiva memoria; quello più umile degli operai
della catena di montaggio, invece, non ha mai varcato il confine per una
precisa scelta strategica.
Eppure malgrado tutto questo, non riesco ad odiarti e
proprio quel silenzio, quelle tue enormi braccia consolatorie mi mancano in
questo mio esilio; un amore che diventa rabbia quando ti prendono in giro,
quando i tuoi stessi figli ti sfruttano per i loro beceri interessi, quando non
vogliono capire quale meraviglioso gioiello scintilli tra le loro mani.
L’isolamento ? No, Saluzzo, non è in te e nei tuoi treni, ma
nella mente di chi dovrebbe imparare a gestirti con il solo scopo di amarti e
rispettarti.
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