Golpe ? Parola troppo forte per descrivere qualcosa che possa capitare in un Paese atrofizzato come il nostro. Morte della
democrazia ? No, quella era già saltata in aria con gli attentati a Falcone e
Borsellino, drammatica overture di una interminabile stagione di puro oscurantismo e lento
degrado degli ideali e della morale. Forse, per raccontare ai posteri la tre giorni che ci
siamo lasciati alle spalle, serve un epitaffio più incisivo e meno poetico che
riassuma in se il significato recondito di ciò che è successo e che richiami un qualcosa di surrealistico ma tristemente vero come, ad esempio, un film: i tre giorni del Condom.
Il PD, dato per dominatore nei sondaggi di gennaio (12 punti
e giaguari da smacchiare) si è autoridotto ad un cumulo di macerie nel breve
volgere di una mezza stagione, lasciando sconcertati soprattutto i suoi
elettori, la sua base, quelle persone che in piena onestà credevano ad un
progetto fallito prima ancora di essere messo in atto. Una strategia oscura,
incomprensibile ai più, che potrebbe semplicisticamente riassumersi in una
guerra a Grillo e che ha portato invece alla ridicola distruzione di quella che mai, nella
sua ventennale storia, è stata quella macchina da guerra tanto sbandierata dai
suoi immaginifici soloni.
Prima il sacrificio sull’altare della propria arroganza di
Marini, concordato col nemico ma non con la propria truppa, e finito ancora una
volta nel tritacarne dalemiano come già fu ai tempi della presidenza Ciampi.
Poi, per riparare al danno, ecco l’atto più osceno di tutti, la terza
bocciatura di uno dei fondatori del PD, quel Romano Prodi insultato dalla
stessa base, umiliato da più di cento franchi tiratori, sbeffeggiato dall’avversario
di sempre o meglio dire, dal vincitore di sempre: il Napoleone di Arcore. Una
mortadella affettata e servita al desco dello sghignazzante imperatore, lui che
unico era riuscito in questa ventennale monarchia anticostituzionale a dare una
spallata (lieve certamente, anche perché c’era subito chi da sinistra accorreva
al salvataggio) all’uomo nero che, malgrado tutto, oggi è ancora lì, più forte
e più solido che mai.
Ma il capolavoro tattico, l'atto eroico conclusivo, arrivava
con la supplica a Napolitano di tornare sul trono, lui che aveva bollato poco
prima questa possibilità come una non scelta da tipico pasticcio italiano: e
poteva non essere questa, dunque, la soluzione finale ?
Uno riproposizione in pectore di quello che complessivamente
le urne avevano bocciato, dicendo chiaramente basta al governo Monti (e Monti
ce lo ritroviamo), basta agli abbracci ad Alfano (e puntualmente ne vedremo
altri), basta immunità al Cavaliere che invece…
Ecco, sarebbe bastato un voto a Rodotà o una scelta che
minasse le certezze grilline (possibile non ci fosse un candidato con simili
caratteristiche ?), ma era chiaro a tutti che il nemico da abbattere ora era il
comico genovese, e piuttosto che vederlo trionfante meglio scavarsi la fossa con
le proprie mani e seppellirsi definitivamente dopo anni di finta frustrazione e manifesta inferiorità.
Certo, sarà stata anche una lotta intestina generazionale,
ma l’opera buffa che ne è emersa ricordava più le vecchie zitelle di una
lontana Democrazia Cristiana che il rinnovamento di un partito progressista e
volto al cambiamento. Ora suoneranno nuovi pifferai (uno ha già iniziato con la
sua opera di demolizione da Firenze) e la diaspora di anime così diverse ed
incompatibili fra di loro vedremo quali effetti sortirà; ma il problema sarà
gestire il presente e una forza parlamentare di maggioranza sulla quale saranno
pesanti gli strascichi di questi giorni di tregenda, con una base smarrita che
dopo Berlusconi e Grillo ora si auto-insulta (ma durerà poco, vedrete: basterà vincere in Friuli e tutto cambierà) e con
una domanda che, ancora una volta, non trova risposta: ma è Berlusconi o no il
vero leader del PD ?
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