Tornare per un volta ancora a rivivere vecchie emozioni
sopite e scoprire, con malcelata soddisfazione, che il tempo sembra essersi
fermato.
Ritrovare quell’inebriante profumo di umanità e la
fatiscenza di una seggiola consunta dal tempo mentre provi, come sempre
inutilmente, a far viaggiare la tua fantasia al di là di un vetro imbrattato da
rudimentali scritte e secolare unto.
Emozioni da rivivere, emozioni che toccano il cuore grazie
alla capacità conservativa della nostra grande ed insostituibile compagna di
viaggio: la carrozza passeggeri di Trenitalia.
E’ una fantastica avventura prendere il treno in Italia,che
tu faccia 5, 100 o 1000 kilometri, che rimanga immobile sul ciglio del binario
per l’improvviso sciopero che si protrae ben oltre l’orario previsto o
schiacciato tra uno scomparto e l’altro come nel più comune dei carri bestiame,
cioè quello in cui quotidianamente si trasformano molti dei mezzi definiti “per
pendolari”.
E di avventura debbo parlare per l’ultimo tratto percorso,
chiuso in una carrozza con una signora di mezza età, un ragazzo fintamente
immerso nella lettura di una consunta Gazzetta e cinque energumeni urlanti, che
passano il loro tempo a sputare, irrorarsi di birra (o simil bevanda) e
sollazzarsi le piante dei piedi sui pochi sedili rimasti liberi dalla loro
maleducazione.
Per spirito di sopravvivenza verrebbe da alzarsi, aiutare la
signora nel trasbordo della valigia verso lidi più consoni e lasciarli regnare
nella loro immondizia, ma spinto da insolito coraggio li invito a più consono
contegno ricevendo in cambio indifferenza e una vagonata di “cazzi miei”.
Decido così di dare aiuto alla sventurata viandante,
scrutato con freddezza dal noncurante avventizio attento a studiare la formazione del Milan, accompagnandola alla ricerca
di un luogo più sicuro (semmai quella sera ne fosse esistito uno) e prima di
lasciare per termine corsa mi reco da un seccato capotreno (profondamente
affondato in una Settimana Enigmistica) segnalandogli il problema ed il solito
fatto che, quando il treno viene popolato da troppi energumeni, nessuno passi a
controllare i biglietti come sempre invece capita in più “salutari” situazioni.
Anche in quel caso (non col verbo ma di certo col pensiero)
ricevo la mia dose di sacramenti (oltre al controllo del biglietto) e atterro
in una triste stazione sempre più convinto che, se non per puro sbaglio,
nessuno passerà o si fermerà in quel vagone; resto però felice di aver
alleviato, uscendo dall’indifferenza, un tratto di viaggio a quella signora
anziana improvvisamente sprofondata nell’inferno di cinque personaggi non
condannabili per pelle, religione, lingua o etnia ma semplicemente perché ormai
oltre il confine che separa l’essere umano dal più bieco animale e dell’indifferenza
del giovine virgulto che ora saprà a memoria l'intero scibile sportivo.
Finisce così l’ultima odissea con Trenitalia: un mezzo
fatiscente che si perde nelle tenebre così come la solidarietà nell’indifferenza
del nostro egoismo.
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