Sintesi finale di un campionato mai esistito che si chiude
con due indiscutibili certezze: la superiorità devastante della Vecchia
Signora, capace di ridicolizzare per concretezza e continuità ogni avversario e
la certezza che, dopo sette anni, l'onda lunga di Calciopoli non sembra ancora essersi sedata.
E’ dunque giunto all’epilogo il "campionato più bello del
mondo", quello di tutti fuori dalle coppe europee e sepolto, almeno nel verdetto
più importante, con il freddo invernale di gennaio, quando di solito i giochi
sono ancora tutti in discussione e il titolo di campione d’inverno proietta
sogni e non matematiche certezze. La Signora domina, annichilisce la truppa di
avversari apparsa quest’anno più misera che mai malgrado qualcuno voglia farci
credere che il nostro calcio goda di ottima salute. Poche luci e tante, troppe
ombre, come quella che cala pesantemente sulla lotta per l’ultimo gradino buono
per la Champions, meritato dalla Fiorentina e conquistato, con grandi spinte
arbitrali, da quel Milan simbolo da troppi anni di un potere oscuro che si pensava
erroneamente tutto racchiuso nelle carte telefoniche di Moggi. Lascia perplessi
la gestione di questo ultimo scorcio di campionato dove troppi errori hanno
favorito la scalata dei rossoneri da non far pensare ad un preciso disegno
volto a non far loro perdere l’ultimo treno per l’Europa che conta, con la
Viola vittima sacrificale e i vari Bergonzi calati nell’ingrato ruolo di carnefici
incapaci e stolti. Non mancheranno le code polemiche, non mancherà chi griderà
allo scandalo, ma trattandosi del Milan finirà tutto a tarallucci e vino come
lo fu nel 2006, quando la penalizzazione permise alle truppe berlusconiane di
sbarcare comunque in Europa.
Spiace per la bella Fiorentina di Montella, forse unica vera
nota di freschezza in quest’annata di miserie e povertà, ma giova ricordare
quanto sia poco salutare, anche nel calcio, essere acerrimo nemico del
Cavaliere.
Ricordata per l’ennesima volta la bella favola di un’Udinese
che come l’araba fenice si rinnova dalle sue ceneri (simbolo di come si deve
gestire una società con sagacia ed intelligenza), eccoci alle tante, troppe
note dolenti, a cominciare dall’Inter sprofondata nello squallore di un’annata
tutta da dimenticare.
Pensiamo sia difficile che Moratti, solitamente amante dell’autolesionismo,
sia così stolto dal confermare il carneade Stramaccioni, certamente non unico
ma principale responsabile del fallimento nerazzurro: lo dicono i troppi
infortuni, la confusione tattica, la resa incondizionata che ha spinto nel
baratro del nulla una squadra che, svuotata nell’anima da troppe cessioni
illustri ed acquisti insensati, benedice l’arrivo del fischio finale che almeno
frena la caduta libera verso gli inferi.
Sotto la voce fallimento, oltre al team milanese, ritroviamo
anche le due romane con i biancoazzurri crollati sul più bello e i giallorossi
vittime del sogno zemaniano (ma chi ci crede ancora?) trasformatosi troppo presto
in incubo: loro, però, almeno potranno rifarsi con la Coppa Italia, trofeo mai
così ambito come in questi ultimi anni di troppi fallimenti sportivi.
E di fallimento in fallimento, si chiude con il Palermo
mestamente traghettato in B e lontano da quei sogni di Champions troppo spesso
sbandierati dall’impavido patron Zamparini, pronto forse a convolare verso più
consoni e tranquilli lidi ove poter ricostruire un giocattolino da disfare.
Due parole a parte le merita il Torino, bravo a centrare l’obiettivo
prefissato in una stagione di chiaro scuri che non lascia presagire nulla di
buono per il futuro. Bianchi saluta da bandiera (tre anni fa era il pennone
aggredito dagli Ultras al ristorante), Cerci e Ogbonna cercheranno forse la
consacrazione in platee più altisonanti, e Cairo che farà ? Continuerà nelle
comproprietà, prestiti, parametri zero raccattati nel fondo del barile o
cercherà di programmare un futuro più degno al blasone e ad una tifoseria passionale
ed unica come quella granata ?
Arriverà l’estate, e solo lei ci dirà qualcosa sul futuro,
attraverso l’inutile Confederations Cup (rischiamo una figuraccia ma non ditelo
forte) e le solite voci di giocatori che andranno e verranno. Perderemo forse
Cavani (tra i pochi autentici fuoriclasse del nostro campionato), faremo
ribollire le solite minestre in attesa di nuovi scandali, nuovi errori
arbitrali, nuove avventure come quella del Sassuolo.
L’ultima nota la voglio dedicare al figliol prodigo, al
talento di Mario Balotelli: spero di non sentire mai più quegli ignobili cori
razzisti che ne accompagnano le gesta (non solo le sue, purtroppo), così come
spero anche finiscano i tuffi carpiati stile Cagnotto nelle aree avversarie perché
in quel caso, e a ragione, dovranno
essere i veri tifosi troppo spesso presi in giro a lasciare inviperiti lo
stadio.
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