Quando gli
dei scendono sulla terra, il tempo sembra improvvisamente fermarsi.
Forse è quel senso di inarrivabile grandezza comparata alle nostre
miserie o quel sapore di immortalità che solo un grande evento sa
sprigionare ma ieri, a Melbourne, sembrava di essere calati in una
dimensione parallela, un flashback di un passato che in pochi si illudevano potesse ritornare.
E lo diventa
soprattutto quando Roger si mette a disegnare quel campo con una
naturalezza ed una classe così cristallina da far sembrare le sue
pennellate d'autore banali colpi che per altri invece risultano
impossibili, inarrivabili, impensabili.
E con quelle
sue pennellate ha vinto una partita fantastica e vibrante, talmente
tesa che credo nessuno dei milioni di spettatori sparsi sul globo
terrestre abbia per un solo attimo pensato alla veneranda
(sportivamente parlando) età dei due contendenti.
Roger sale
nuovamente sul trono che gli compete, ma non entra, con questa
vittoria, nella leggenda; lui lo è già leggenda perchè nessuno,
nell'era moderna ha saputo marchiare uno sport come ha fatto lui e
non solo da un punto di vista puramente tecnico (ai miei occhi da
profano ricordo solo Sampras così completo come l'elvetico) ma
anche e soprattutto caratteriale con quell'umiltà e correttezza che
completano gli immortali.
Re
indiscusso di uno sport ormai tristemente pervaso da denaro e
malaffare, ha commosso il mondo con quelle lacrime finali che sono
stille di un cuore sincero, infantile addirittura, innocente nella
consapevolezza di aver scritto l'ennesima pagina memorabile di un
libro straordinario che non vorremo mai finisse.
“Se non
dovessimo rivederci l'anno prossimo, è stato fantastico”. Si
Roger, è stato fantastico e pur comprendendo che il tempo è l'unica
cosa che non possiamo dominare cerchiamo di allontanare tristi
pensieri come può esserlo il tennis senza la tua inarrivabile
immensità.
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