Amato e odiato, ossequiato e vilipeso, difeso strenuamente
ed attaccato con altrettanto vigore. Fine politico o mafioso della peggior
specie, grande statista o peggior affarista: ogni aggettivo, ogni parola
attribuita a Giulio Andreotti assume l’accezione più estrema perché in lui
tutto era estremo, seppur mitigato da quel suo fare istrionico e da quell’ironia
che lo faceva ergere sul resto della classe politica portandolo a diventare il
vero simbolo della storia repubblicana dell’Italia.
Lui era il potere, lui era la Democrazia Cristiana, lui era
lo Stato: che agisse di nascosto o alla luce del sole attraverso cariche di
assoluto rilievo, riusciva con abilità a gestire i tasselli di un mosaico
sempre ricomposto in modo tale che il suo disegno quadrasse alla perfezione,
che le cose proseguissero per la strada tracciata, una strada troppo spesso
lastricata di dolore e morte.
Le 7 presidenze del Consiglio, le innumerevoli poltrone di
rilievo occupate non cancellano però la macchia, l’onta più grande, un’ombra
che spinge l’intera politica italiana nel baratro oscuro di connivenze con la
malavita: la prescrizione per il reato di “concreta collaborazione” con Cosa
Nostra, prescritto perché antecedente al 1980.
Non vi tedierò con tutta la ricostruzione dei fatti
perfettamente narrata dalla penna di Travaglio sul Fatto Quotidiano di oggi, ma
l’assioma che si compone è di assoluta drammaticità, perché se lui era la
politica e vi era una concreta collaborazione con la malavita, è impossibile
scindere lo Stato dalla Mafia (e dalla Chiesa), unite in un solo afflato nella
sua più elevata rappresentazione.
Ora, purtroppo, tutte le verità saranno tumulate nel feretro
e riscrivere la storia sarà ardua impresa senza una voce narrante di primaria
importanza e senza rischiare di cadere nell’interpretazione e non nella
descrizione dei fatti: ma siamo certi che lui mai avrebbe ammesso siffatti
crimini, anche ormai prossimo all’estrema chiamata.
Ci sarà certo per Giulio il tribunale ultimo di quel Dio che
ogni giorno onorava nella chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini, e forse solo a
Lui sarà concesso di conoscere le verità; ma noi, da miseri e comuni mortali,
tanto avremmo preferito che tutto questo fosse stato raccontato ai Giudici se
non altro per rispetto delle tante, troppe vittime con cui la sua democrazia ha
lastricato la strada di questo cinquantennio.
Addio Giulio, con sommo rispetto non sarò tra quelli
che ti rimpiangeranno.
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